Succedono cose. E il web si indigna. Poi il web dimentica. Succedono altre cose. E il web si indigna di nuovo.

È una dialettica ormai troppo familiare che si rinnova ogni giorno, a ogni accesso online, a ogni link condiviso su Facebook. Ci sono quelli che si indignano. Poi ci sono quelli che si indignano con gli indignati, per andare controcorrente, forse, o forse solo perché è normale che più di una corrente di pensiero prenda piede quando “succedono cose”.

Così è stato nei giorni passati per il Fertility Day, e così accade anche oggi per Charlie Hebdo, il periodico settimanale satirico francese definito dallo stesso wikipedia “caustico e irriverente” e che oggi campeggia fisso nelle bacheche di milioni di utenti Facebook per aver pubblicato una certa vignetta.

Una vignetta che ci riguarda da vicino, noi italiani, in quanto tocca la recente tragedia avvenuta in Centro Italia: il terremoto che il 24 agosto 2016 ha coinvolto i comuni di Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto e che si conta abbia causato intorno alle 300 vittime.

Charlie Hebdo e i terremotati italiani: ma allora vale tutto?

La vignetta è questa. Quando l’ho vista non mi è importato far parte di “una corrente”, quella degli indignati o quella degli anti-indignati. Quando l’ho vista ho provato solo una morsa allo stomaco, di quelle che provi quando una cosa non ti va giù e pensi “Ma perché? Che senso ha?”. Perché per me l’ultima vignetta di Charlie Hebdo non ha proprio senso. E non perché non bisognasse fare satira su una tragedia come quella del terremoto, anzi.

Il problema è che la satira, come ogni forma di comunicazione, deve essere fatta con coscienza e da persone capaci che si pongono un obiettivo e hanno i mezzi per poterlo raggiungere. In questo caso, se l’obiettivo era quello di colpire il nostro modo di fare “all’italiana” che ha portato alla tragedia, credo personalmente sia ben lungi dall’essere raggiunto.

Quello che vedo in questa vignetta non è una caricatura delle istituzioni italiane ma delle vittime, le ultime che si meritano di essere rappresentate come un menu su una testata di fama internazionale.

A questo punto mi chiedo: ma allora vale tutto? Fare satira vuol dire davvero spalare merda sull’argomento caldo del momento senza curarsi minimamente del “come” si fa? E lascia stare che ieri eravamo tutti Charlie e oggi no, perché non è ipocrita non appoggiare indistintamente qualcuno, anzi.

Quando la redazione di Charlie Hebdo è stata colpita dell’attentato terroristico il 7 gennaio 2015 mi sono sentita a loro molto vicina, nonostante non abbia mai cavalcato l’onda del #JeSuisCharlie perché, onestamente, mi sono stufata già da un pezzo di queste etichette sfornate più per cavalcare le tendenze che per non dimenticare.

Ma oggi, davanti a quella vignetta, davanti alla rappresentazione iconografica di una tragedia sotto forma di primi piatti all’italiana, non mi sono più sentita dalla loro parte. Perché da italiana ci vedo solo tanto cattivo gusto, e da addetta ai lavori ci vedo solo un enorme errore di comunicazione.

Perciò oggi no, non sono Charlie. Riparliamone domani.