In un’epoca in cui tutto è già visto e sempre più spesso le idee nascono già vecchie, parola d’ordine per ogni artista è: distinguersi. E osservando il percorso artistico di Paolo Amico non puoi che averne una conferma.

In quelle che a prima vista possono sembrare fotografie ma che poi scopri essere disegni, puoi scoprire tutta la sua maestria. Quando poi realizzi che ognuna delle sue opere è realizzata minuziosamente con le sole penne a sfera, non puoi che rimanere sbalordito.

Paolo Amico riesce a padroneggiare le penne bic con l’abilità con cui gli artisti d’altri tempi padroneggiavano i pennelli. Dopo giorni, settimane o a volte anche mesi di lavoro le sue opere prendono vita propria, emancipandosi dalle fotografie che le hanno ispirate ma mantenendone una verosimiglianza sconvolgente.

Sei pronto a perderti nel suo mondo? Questo è il momento giusto per farlo.

Paolo Amico: identificati!

Sono nato a San Cataldo, paese dell’entroterra siciliano. Sin da piccolo, al contrario dei miei amici che sognavano di diventare calciatori, io sognavo di fare l’artista.
 Mi sono diplomato nel 2006 all’Istituto Statale d’Arte F. Juvara di San Cataldo e ho proseguito gli studi all’Accademia di belle arti ABADIR di San Martino delle Scale, dove ho intrapreso gli studi di Restauro e Pittura.

Inizialmente pensavo fosse impossibile fare l’artista, cosi mi sono dedicato al restauro, parte fondamentale della mia formazione. Mi ha educato alla pazienza e mi ha dato la possibilità di conoscere il metodo lavorativo dei grandi maestri. 
Cambia tutto nel 2012: dopo aver vinto il “Premio Arte” (indetto dalla rivista Arte Mondadori), ho mollato il restauro per dedicarmi esclusivamente all’arte.

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Come trascorri una tua giornata tipo?

Da settembre la mia routine è cambiata. Mi sono trasferito a Torino per stare più a contatto con la Galleria con cui lavoro da ormai 4 anni, la Galleria Zabert. 
In sintesi verso le 10:30 raggiungo in bici lo studio (la mia fabbrica apre tardi…), si trova vicino il politecnico di Torino e lo condivido con la squadra di architetti del Fragomeli and Partners.
 Giunto lì si inizia a disegnare fino a quando non mi cade la testa sul foglio, spesso è tarda sera.

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Di cosa non potresti fare assolutamente a meno?

Risposta scontata sarebbe carta e penna, ma oltre questi, che sono gli strumenti che mi permettono di esprimermi, ci sono il colore e le luci della notte.

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Com’è nata la tua passione per il disegno? E l’idea di disegnare con le biro?

All’età di 7 anni ho scoperto di saper disegnare, ricordo bene quel momento. Vidi mio fratello (3 anni più grande di me) disegnare Mago Merlino, lo trovavo un vero capolavoro, cosi mi dissi “Se ci riesce lui posso farlo anche io”. Tentai con il raffigurare i cani della carica dei 101, riuscirono bene vista la mia età di allora e da qual momento non ho più smesso di disegnare.

Con le penne ho iniziato in accademia con la sola nera, da lì a poco ho pensato di aggiungere del colore utilizzando la penna 10 colori della Carioca (forse una reminiscenza scolastica). Ottenni un discreto risultato che poi ho affinato nel tempo.
 La penna è uno strumento che ha tanto detto con la scrittura, adesso spero dica tanto con il disegno.

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Qual è il progetto di cui vai più orgoglioso?

Domanda difficile, quando mi chiedono qual è la mia opera preferita rispondo sempre l’ultima.
 Cercando tra i progetti di cui vado più fiero citerei “Ricordi futuri 3.0”: anche se si tratta di una mostra collettiva, con le mie opere sono riuscito a centrare il segno e a non passare in osservato. Anche “Visioni torinesi”, in cui ho indagato la città omaggiando artisti transitati, vissuti o dei quali vi sono opere custodite a Torino. Per citarne un’altra: “Ivrea città industriale”, in cui ho lavorato a stretto contatto con la cittadinanza e il lascito della famiglia Olivetti, ponendo l’attenzione sul sentimento di smarrimento e di speranza che li lega. Il tutto raccontato attraverso opere realizzate con due tra i più importati strumenti per la scrittura, le penne e le macchine da scrivere.

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Qual è la tua più grande fonte d’ispirazione quotidiana?

Il mio lavoro è spesso introspettivo. Quando non riesco a trovare la chiave di un’opera, o metto in loop Psycho killer dei The talking heads (non sto scherzando) o faccio una full immersion in natura con la mia mountain bike.

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Cosa vuoi fare da grande?

Vorrei continuare a fare quello che faccio, ma sempre più in grande. Sto inseguendo il mio sogno. Punto l’asta sempre più in alto e faccio il possibile per raggiungerla, ma so bene che il cammino è ancora lungo e difficile.

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Qualche spoiler sui tuoi prossimi progetti?

Al momento lavoro a due differenti progetti: in uno sto cercando di trasformare parole come palindromi, anagrammi e bifronti in immagini, servendomi dell’architettura urbana, portici, piazze, eccetera e indagando la tematica dell’equilibrio nella vita. 
Il secondo è sull’identità umana: sfrutto la fototessera del documento d’identità trasformandolo da documento istituzionale in ritratto della persona.
 Non posso svelarvi altro, immagino che sia difficile comprendere i progetti senza vedere le opere, ma spero ne sentiate parlare.

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Foto in copertina: Eleonora Gugliotta

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