Il Mar Morto è un mare chiuso che sorge tra Israele, Giordania e Cisgiordania e possiede una sua particolarità: a causa della forte evaporazione al quale è esposto, infatti, l’acqua del Mar Morto è estremamente salata, non permettendo dunque alcun tipo di forma di vita. Da qui il macabro nome che lo contraddistingue.

Non è un caso, dunque, che il Mar Morto sia non solo meta di flotte di turisti ma anche fonte di ispirazione per innumerevoli artisti, che attribuiscono alla sua essenza una fortissima carica simbolica. Tra questi il lavoro più significativo è sicuramente quello dell’artista israeliana Sigalit Landau che, particolarmente colpita dal processo di cristallizzazione del sale, ne ha fatto la principale tecnica adoperata nel concepimento di alcuni suoi lavori.

L’ultimo è anche, a mio avviso, il più emozionante: Sposa di sale, questo è il suo nome. Immergendo un abito nero nelle acque del Mar Morto per due anni, infatti, l’artista ha ottenuto un risultato davvero suggestivo, documentandone ogni sua fase in una serie fotografica altrettanto significativa, attualmente in mostra fino al 3 settembre presso la galleria Malborough di Londra.

Cristallizzandosi sul tessuto, il sale ha trasformato l’abito in una vera e propria scultura ispirata a The Dybbuk, una commedia teatrale russa dei primi del ‘900 con protagonista una giovane sposa posseduta dallo spirito del suo amante morto.

Dal 2014 a oggi l’abito ha subito una vera e propria metamorfosi in ogni suo aspetto: da un vestito nero, quasi funereo, a un abito da sposa bianco, candido, simbolo di vita e speranza. Una rinascita da quelle acque che, per sua natura, avrebbero dovuto sancirne la morte ultima. In un territorio, quello della Palestina, in cui il confine tra vita e morte è spesso messo in discussione.

Sposa di sale: l’opera nata immergendo un vestito nel Mar Morto

Sposa di sale: l’opera nata immergendo un vestito nel Mar Morto

Sposa di sale: l’opera nata immergendo un vestito nel Mar Morto