Ho avuto l’occasione di conoscere Irene Tondelli qualche anno fa, quando ci siamo ritrovate a lavorare nella stessa agenzia di comunicazione a Bologna. In quel periodo – tra progetti, gare pazze, riunioni fiume e aperitivi – ho avuto modo di apprezzarla come art director nonché come collega e persona. Ma è stato solo dopo, quando le nostre strade professionali si sono divise, che ho scoperto questo suo mondo meraviglioso ritratto all’interno di un obiettivo.

Seguire Irene lungo i suoi viaggi fotografici ti avvicina a una dimensione del mondo quasi onirica. È guardando le sue fotografie che ho scoperto il suono silenzioso di certi paesaggi, congelati nel tempo attraverso i suoi scatti. E io, che non mi sono mai creduta una fanatica della fotografia di viaggio e paesaggistica, ho dovuto ricredermi. Magari lo farai anche tu, leggendo questa intervista o perdendoti nel suo sito web. A Irene la parola!

Irene Tondelli: identificati!

Sono nata nel bel mezzo della pianura padana tra la nebbia e gli spazi aperti. Credo dica molto della persona che sono e delle fotografie che faccio. Sono laureata in fotografia e ho lavorato nell’ambito delle agenzie di comunicazione per diversi anni dopo un Master in Art Direction a Milano. Poi la fotografia ha chiamato a voce troppo alta e non ho più saputo resistere. Oggi faccio fotografie sul rapporto tra l’uomo e la natura sconfinata, topografia del paesaggio, documentaria, di interior design, organizzo workshop e corsi di educazione all’immagine. 

Come trascorri una tua giornata tipo?

Ore 7.30 parte la radiosveglia sintonizzata sui talk show di politica, mi arrabbio subito quindi, per me che dormirei sempre ad oltranza, è una sveglia infallibile. Sono assuefatta dal caffè americano, una bella tazza colma ogni mattina, poi può succedere di tutto: shooting, giornata di incontri, ufficio, email, lezioni…

Di cosa non potresti fare assolutamente a meno?

Degli occhi, delle montagne, della fatica, del momento in cui pianti la tenda dopo una giornata di cammino, delle mappe, di Game of Thrones, delle polpette unte, dei carboidrati, della prima grigliata dell’anno al mare in primavera, dell’ansia di fare la valigia, degli odori buoni o cattivi che siano, della radio e delle polemiche nazional popolari, di un bicchiere di vino a fine giornata, delle conversazioni che mi aprono al mondo e per contrasto, del silenzio.

Com’è nata la tua passione per la fotografia?

La passione per la macchina fotografica sin da piccola. Era un gioco, la prima è stata delle Tartarughe Ninja. Per la fotografia in generale subito dopo il liceo, quando vivevo a Londra. Per la fotografia di viaggio quando ero triste e ho deciso che volevo fare qualcosa che mi rendesse davvero felice.

Qual è il progetto di cui vai più orgogliosa?

Sono due:
Il primo, il mio reportage intitolato “Nomadelfia Dreamin”, passato un po’ in sordina rispetto alle mie aspettative. Si tratta di una serie di immagini scattate durante la mia permanenza presso la Comunità di Nomadelfia in provincia di Grosseto, una vera utopia vivente, che si sia credenti o no, davvero affascinante, un pezzo di storia italiana. È stata un’esperienza emotivamente intensa sia dal punto di vista fotografico che umano. Se posso fare un’autocritica di quel lavoro dico che quando si parla di storytelling, si consiglia sempre di fare prevalere la narrazione all’amore per le immagini. Io mi sono decisamente innamorata delle immagini dimenticando di raccontare. Mea culpa, ma che esperienza!
Il secondo, i miei corsi e workshop itineranti. Era davvero difficile immaginare anche solo poco più di un anno fa che avrebbero avuto riscontro e invece mi stanno dando davvero grandi soddisfazioni.

Qual è la tua più grande fonte di ispirazione quotidiana?

Guardo moltissimo al lavoro dei miei coetanei fotografi, non si può pensare di crescere chiudendosi nel proprio mondo.
Cerco di avere più occasioni di confronto possibili e credo che la fotografia per sua natura li crei a prescindere. Nel mio piccolo sono una persona riflessiva, che pensa parecchio prima di agire. Mi sto allenando a fare alcune cose di getto, anche se non tutto sempre mi sembra ben pianificato. Ci provo, lascio spazio all’improvvisazione, dando il meglio che posso dare. A volte funziona, molte altre no, ma ho bisogno di dinamismo, preferisco una porta chiusa in faccia che il nulla, se sbaglio incasso il colpo e prendo appunti per l’occasione successiva.

Cosa vuoi fare da grande?

Anagraficamente mi sento già grande ormai.
Lavorativamente parlando credo di essere sulla strada giusta, coltivo il desiderio di migliorami sempre, aprirmi nuove strade, continuare a fare quello che sto già facendo conquistando centimetro dopo centimetro.
La fotografia è un ambiente davvero competitivo ma in modo sano, fatto di persone incredibili, davvero capaci di cose straordinarie, eppure umili, che amano la vita. Me ne rendo conto ogni giorno, sui canali social, scambiando opinioni e consigli con fotografi provenienti da tutto il mondo.
Ecco, spero di essere all’altezza, di imparare a reggere il confronto, di trovare qualcosa di bello da poter insegnare un giorno a mio figlio. 

Qualche spoiler sui tuoi prossimi progetti?

Un nuovo workshop sullo storytelling e il libro fotografico, prossima tappa Cremona ad aprile. Una mostra negli USA e la pubblicazione di un piccolo volume legato al paesaggio ma i dettagli sono ancora top-secret. Un progetto espositivo a cui tengo moltissimo che, incrociamo le dita, vedrà la luce il prossimo autunno con Walter Borghisani, mio caro amico e fotografo, e i ragazzi di Comò Lab a Reggio Emilia, preziosissimi collaboratori che stimo davvero tanto. E poi progetti personali, reportage impegnativi, mi prendo un anno per godermi l’Italia e maturarli, ma so già che la prossima volta viaggerò davvero fino alla fine del mondo.

Cosa consigli a chi vuole intraprendere il tuo mestiere?

Di abbracciare il fallimento per quanto possibile e farne tesoro, come una piccola vittoria personale, godetevi di averci almeno provato. Eliminate gli “avrei dovuto, avrei potuto”: fate.
Quello della fotografia, come tante altre cose d’altronde, è un mondo che attira molte persone e di conseguenza emergere è difficile. Mettetevi il cuore in pace, qualcuno più bravo di voi c’è quasi sempre, fortunatamente, se così non fosse sarebbe davvero noioso. Ma le soddisfazioni arrivano se ci si impegna davvero. Credo che in un mondo così veloce e frenetico si sia persa di vista la dedizione. Dedicatevi a ciò che vi piace.

 

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